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valutazione dello stress lavoro e riforma meritocratica. PDF Stampa E-mail
 

Scritto da Fabiano Corsini, 18-05-2010 10:38

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Pubblicato in : organizzazione, in generale


E’ per una pura coincidenza che giungono a scadenza nella stessa stagione due diversi processi di adeguamento delle organizzazioni. Da una parte gli enti dovranno dotarsi di metodiche operative orientate alla meritocrazia, per i quali il legislatore stesso (con il D.Lgs. 150 /2009) si è premurato di individuare nella misurazione delle performances, individuali e di squadra, i punti di riferimento per la valutazione del lavoro e delle attività. Quasi contemporaneamente, ovvero in questo caso dal prossimo 1 agosto, diventerà obbligatorio per tutte le aziende e dunque anche per gli enti pubblici, procedere alla valutazione dei rischi da stress lavoro-correlato. Al di là della concomitanza temporale, un primo e superficiale esame delle due normative pare evidenziare una stridente discrasia: nel primo caso l’accento è posto sulla misurazione; il “ben-essere” delle organizzazioni pare traguardato attraverso la performance, dunque attraverso parametri comportamentali riconducibili a unità di misura “asettiche” e impersonali, in linea con l’approccio apparentemente pragmatico del “new public management” nella cui scia di pensiero si situano i provvedimenti “Brunetta”. Nel caso dell’obbligo di procedere alla valutazione del rischi derivante da stress lavoro-correlato, invece, il legislatore opera ponendo al centro dell’attenzione la persona. Le linee guida per l’attuazione dei dispositivi di Legge, che molte Regioni hanno già elaborato e in qualche caso emanato, precisano che le aziende (gli Enti) devono inserire la valutazione dello stress lavoro correlato in un processo “dinamico e virtuoso”: valutazione, prevenzione, aggiornamento della valutazione. Un processo che non si conclude con la semplice rilevazione del rischio, ma si “radica” come principio organizzativo, verso il miglioramento continuo, verso la responsabilizzazione di tutti i lavoratori sul tema della sicurezza e, in questo caso, sulla organizzazione. Il rischio stress si previene attraverso la cura dei presidi organizzativi, intervenendo sul clima e sulle relazioni tra tutti i soggetti, certamente, ma anche adottando modelli di macro e microorganizzazione che siano sufficientemente proattivi, capaci di esercitare una funzione di stimolo e motivazione nei confronti dei lavoratori coinvolti. In tema di sicurezza, ovvero nell’ambito in cui si colloca questa materia, un ruolo centrale è assolto dalla formazione del personale. E’ ormai accertato che al concetto di sicurezza oggettiva bisogna affiancare quello di sicurezza soggettiva, una accezione che, nel caso dello stress, è addirittura preponderante. Gli aspetti soggettivi della sicurezza sono quelli che incidono nella capacità di gestire e fronteggiare il rischio presente, ma anche più in generale di migliorare la qualità di vita. Si può lavorare in un ambiente molto ben strutturato dal punto di vista oggettivo, con rischi ridotti e ben controllati, ma non avere un'adeguata formazione o un'adeguata supervisione, e dunque vivere uno stato di insicurezza che genera stress. Si può invece lavorare in un ambiente con rischi alti, ma esercitando una autonoma e razionale capacità di controllare i fenomeni e tenere lo stress sottosoglia. La sicurezza soggettiva si occupa dell'analisi delle potenzialità e delle opportunità che coinvolgono le persone, non solo quindi mirando a ridurre i rischi derivanti dai loro comportamenti, ma allo stesso tempo preoccupandosi del loro sviluppo e del loro benessere. Per sviluppare la sicurezza soggettiva la nostra cassetta degli attrezzi dispone di strumenti potenti: formazione, informazione, comunicazione, consultazione, partecipazione, condivisione. L’obbiettivo di un sistema di gestione virtuoso è di individuare un insieme di misure che non siano solo preventive e protettive, ma anche proattive, finalizzate a cercare di migliorare le condizioni di sicurezza, individuando anche la sicurezza intesa come condizione di lavoro. La gestione della sicurezza risulta dunque come un insieme di responsabilità, azioni, verifiche, che consentano di affrontare il nodo della sicurezza come un miglioramento continuo per il perseguimento di migliori risultati per sé e per l’organizzazione. Il riferimento all’art. 30 del D.Lgs. 81, che individua modelli organizzativi e di gestione è elemento importante su cui l’azienda deve costruire il suo modello di gestione della sicurezza in funzione delle sue caratteristiche e dimensioni. Ogni Ente deve dotarsi di un percorso di miglioramento delle proprie condizioni di sicurezza e porsi degli obbiettivi da raggiungere mediante linee di intervento. In tale contesto l’importanza è data dalla sensibilizzazione intera della struttura organizzativa.. In questa prospettiva formazione, informazione e comunicazione, possono essere visti come elementi critici e leve per il miglioramento, oppure come adempimenti obbligatori imposti dalla normativa e quindi visti come una sorta di vincolo. Noi pensiamo invece che la sensibilizzazione di fronte al tema della sicurezza attraverso la formazione diventi un obbiettivo qualificante, da assumere all’interno dei punti che vanno a qualificare il nuovo sistema organizzativo che gli enti disegneranno per adeguarsi al D. Lgs. 150 La formazione deve agire sulle conoscenze delle persone interessate, quindi agire sui comportamenti, sulle mentalità, e sugli atteggiamenti. Leggendo il T.U. nella parte riguardante la formazione emergono due punti fondamentali: la formazione deve essere vista come processo educativo e la necessità che la formazione risulti sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici dell’attività svolta. Concentrandoci dunque sulla formazione, ed in previsione di un fermento di domanda da parte degli enti in questa direzione, dobbiamo farci alcune domande precise. Quale caratteristiche deve assumere la formazione all’interno di un sistema gestionale di lavoro? Quali corsi sono sempre efficaci? In che misura gli investimenti che le organizzazioni fanno sul tema della sicurezza danno un ritorno che si deve manifestare come arricchimento di conoscenza? E’ indispensabile che i programmi che supportano la formazione su questo tema abbiano un contenuto fortemente pragmatico, correlato alla vita del lavoratore (ai suoi problemi specifici) ed è molto importante anche la figura del formatore. Per questo, nel mettere a punto una proposta formativa che accompagni gli enti nei loro percorsi di miglioramento, punteremo a iniziative che in primo luogo vadano sicuramente ad assolvere un compito “informativo”, di lettura attenta e consapevole delle norme e delle loro finalità . Ma il vero obiettivo di ciascun intervento sarà quello di favorire la crescita di competenze utili a dare autonomia, a consentire alle strutture ed ai soggetti che vi operano di assumere in prima persona l’obiettivo di attivarsi in un percorso di miglioramento delle organizzazioni. Le quali dovranno poi dotarsi di un sistema in cui tutti gli strumenti della cassetta che abbiamo ricordato siano attivi e funzionanti. Mai, come in questo caso, mostrano la loro debolezza modelli formativi che riproducono il meccanismo della delega agli specialisti: ai quali si chiede di consegnare la check list degli adempimenti, utile per far crescere “l’albero aziendale” dei documenti cartacei. La formazione per la sicurezza è finalizzata a cambiare gli atteggiamenti: a favorire la padronanza ed il controllo nei percorsi individuali e delle organizzazioni. Ci piace sperare che da questi percorsi, o almeno con questi percorsi si proceda all’adeguamento organizzativo degli enti nella direzione del D. Lgs. 150.

Ultimo aggiornamento : 18-05-2010 10:38

   
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