La questione della Pubblica Amministrazione è tema che occupa nel dibattito nazionale un posto importante, con ricorrenti stagioni di forte interesse mediatico. Per lo più, si tende a ridurre la questione della inefficienza della funzione pubblica , reale e seria, a quella del lavoro pubblico e dunque, più prosaicamente, al tema dei fannulloni. Si tratta di un pericoloso e fuorviante processo di elusione del problema reale, difficile comunque da contrastare ed evitare. In un generale mainstreaming sostenuto da destra e sinistra, in cui pare nessuno avere a cuore di discutere della funzione pubblica, ovvero del ruolo reale che la Pubblica Amministrazione è chiamata a svolgere in una società moderna, e dunque e di conseguenza del ruolo e del trattamento che devono avere coloro che ci lavorano.
Sono importanti e forse sorprendenti i risultati di una recente ricerca, La PA vista da chi la dirige , condotta dalla Fondazione PromoPA in collaborazione con il CSA di Firenze, il cui rapporto finale è scaricabile dal sito della Fondazione stessa. Il 56,8% dei dirigenti intervistati dichiara di sentire propri l’etica ed i valori che stanno alla base della missione di un Civil Servant. In un contesto che di fatto è vissuto negativamente, dice il rapporto, la dirigenza italiana si senta ancora in maggioranza depositaria dei valori del servizio pubblico, pur faticando poi a trasportare questa positività negli Uffici degli Enti in cui lavora: solo il 16,2% degli intervistati è disposto a riconoscere decisamente che la stessa etica anima anche le scelte che vede compiere nell’Amministrazione in cui opera. La convinzione di svolgere un lavoro al servizio del bene pubblico resiste nonostante la PA non sembri conoscere la meritocrazia, con il conseguente rischio di frustrazione delle legittime aspirazioni professionali: per il 56,1% degli intervistati l’incentivazione economica praticata nel proprio Ente non è parametrata all’effettivo raggiungimento dei risultati, e poco più di 1 dirigente su 20 crede davvero in una progressione di carriera fondata sul conseguimento degli obiettivi assegnati.Non si salvano gli enti locali; altissima, anche nei comuni, è la percentuale dei dirigenti che ritengono di non poter beneficiare di possibilità di intraprendere percorsi formativi che favoriscano una reale crescita professionale. 38 dirigenti su 100 non ritengono di poter affermare che il livello di professionalità e managerialità sia cresciuto negli ultimi 10 anni, contro il 23,3% che invece apprezza qualche progresso. L’impressione è che non si veda niente di nuovo sotto il sole. “ Sotto il ritmo pacato della laboriosità quotidiana non si intuiscono correnti di innovazione”. Sono conclusioni dolciamare; sicuramente rasserena il sapere che alla disgraziata stagione dello spoils system all’italiana è sopravvissuto tra i dirigenti uno spirito di “fedeltà” alla Repubblica, in linea con il dettato costituzionale; e dunque un anelito ad uno spazio di dedizione alla tutela della imparzialità della pubblica amministrazione nei confronti dei cittadini. Ma è altresì evidente come in questi anni si sia prodotta una progressiva perdita di committenza, un annebbiamento del punto forte che deve costituire l’ancoraggio motivazionale della organizzazione e delle persone che ci operano: il rapporto con lo sviluppo e con la domanda sociale di servizi a sostegno dello sviluppo stesso.Se nella PA non attecchisce la meritocrazia non può certo essere dovuto solo alla forza delle corporazioni interne, al presunto strapotere della lobbies sindacali. In realtà i fenomeni di lobbying presuppongono un intreccio di interessi tra pubblico e privato, tra potere economico e potere politico; e non necessariamente hanno carattere negativo. Il vero obiettivo di oggi, anzi, sarebbe quello di promuovere un’azione nazionale di lobbying, di alleanza tra cittadini, imprese e pubbica amministrazione, per rompere invece il processo degenerativo delle mille lobbyes disseminate nel Paese che piegano e mortificano la Pubblica Amministrazione.Per andare in questa direzione aiuterebbe, anzi forse sarebbe necessario, modificare il sistema elettorale. Ma anche procedere più decisamente sulla strada delle liberalizzazioni, consapevoli che anche nelle regioni che tradizionalmente si qualificavano come progressiste una nuova alleanza tra PA e società civile passa attraverso la messa in discussione di consociazioni locali che imprigionano l’operato dei comuni e delle centinaia di enti collegati. E rimettendo in campo una ipotesi forte e di grande dignità riformistica, una nuova stagione Bassanini, da costruire in un quadro di partecipazione allargata, come quello tracciato in alcuni passi del memorandum sul lavoro pubblico. Ultimo aggiornamento : 23-03-2008 22:23
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